“Le montagne, secondo l'angolo di vista, la stagione, l'ora del giorno, lo stato d'animo di chi guarda, o qualsiasi altra cosa, possono effettivamente cambiare il loro aspetto.
Quindi, è essenziale riconoscere che non possiamo mai conoscere più di un lato, un piccolo aspetto di una montagna.”
Nel Segno della Pecora, Haruki Murakami
Dopo settimane interminabili passate nella solita routine lavorativa, si avvicinavano le feste invernali e, con loro, l’idea di riprendere fiato. Un respiro però soffocato dalle ennesime decisioni del governo che, per quanto a fin di bene, trasformano quel respiro in un’apnea agonizzante: saremo in “zona rossa” fino a gennaio. C’è chi se ne frega, chi si lascia sopraffare e c’è invece chi riesce a cogliere l’ultima opportunità ed è così che Pietro invita alcuni amici per un’escursione prima che chiudano tutto per il weekend e le feste.
Era da tanto che non stringevo gli scarponi ai piedi e la prospettiva di rimetterli per andare in mezzo alla neve da un lato mi preoccupava ma dall'altro mi eccitava: i paesaggi immacolati, i sentieri semideserti e rivedere la montagna nel pieno del suo splendore. Inutile dire quale dei due pensieri alla fine ha prevalso. E così, zaino in spalla e scarponi ai piedi, si risponde al
Richiamo delle Montagne. A rispondere alla chiamata c’è anche Daniele e così in tre ci dirigiamo per quell’ultima escursione prima della fine dell’anno. La nostra meta sono i Laghi Gemelli a 1970 metri d'altitudine.La partenza non è fra le migliori, forse per via la levataccia e soprattutto l’abbondante neve, e manchiamo l'inizio del sentiero; per fortuna un cartello che indicava il rifugio dei Laghi Gemelli nella direzione opposta alla nostra, ci fai venire un dubbio in tempo e torniamo sui nostri passi per accorgerci che il sentiero iniziava a pochi metri da dove avevamo parcheggiato. Bene, ma non benissimo.
I sentieri sulla neve si fondono e si confondono: bisogna affidarsi alla strada battuta da altri e seguire le orme di chi ci ha preceduto, sperando che la direzione generale sia quella giusta. Questo inizio ci serve per assestarci, per farci capire davvero cosa stavamo per affrontare, e che una piccola distrazione poteva portarci fuori pista.
La salita però prosegue bene, ci siamo ambientati, siamo carichi e continuiamo il nostro cammino raccontandoci storie e novità delle settimane precedenti. E più saliamo e più siamo avvolti dal paesaggio invernale di quei monti, un elegante e vasto tappeto bianco, soffice, insidioso, gelido, contrapposto alle linee nere verticali degli alberi che guidano l'occhio verso il cielo celeste in quella splendida giornata. Sassi e rocce affiancano spesso il nostro cammino, mostrandoci un sorriso di stalagmiti ghiacciate. Più saliamo e più ci rendiamo conto che il sentiero che stiamo seguendo è parecchi centimetri sopra il vero sentiero, rialzato dalla neve: i cartelli di direzione, di solito ad altezza occhi, li vediamo all'altezza ora del fianco, ora del ginocchio, e i parapetti protettivi sono all'altezza dei nostri piedi.
Realizziamo questo dislivello soprattutto quando seguiamo delle orme sbagliate e allora iniziamo a sprofondare, a volte rimanendo bloccati nella neve all'altezza del bacino. Eppure ormai non siamo lontani, iniziamo a scorgere delle strutture che non possono che appartenere alla diga dei Laghi Gemelli. Proseguiamo la nostra avanzata con ritrovato entusiasmo, nonostante spesso i nostri passi affondino completamente nella neve fresca di quel tratto.
È una fatica ma, quando raggiungiamo la diga, lo spettacolo ripaga completamente lo sforzo fra stupore e sorpresa: i Laghi Gemelli sono completamente bianchi, creando una vasta area pianeggiante di neve candida in netto contrasto con il paesaggio intorno, più discontinuo, irregolare, con rocce e alberi che rendono il tutto più spigoloso e bicromatico. Il confine di quei due mondi, di placido e piatto candore e di insidiosa roccia e alberi, è la riva del lago che costeggiamo cercando di non rimanerne troppo incantati. Siamo un po' in ritardo sulla nostra morbida tabella di marcia e avremmo già dovuto essere al rifugio, il punto più alto del nostro percorso, nonché la tappa dove goderci il nostro pranzo. Così abbandoniamo i laghi per salire al rifugio e, nonostante le ore di salita costante in mezzo alla neve di quella mattina, è quello il tratto che mi mette più alla prova, complici forse la fame, le forze al minimo, la neve sempre meno battuta e il fatto di ripartire dopo esserci "raffreddati" mentre ammiravamo i laghi innevati.
Ad ogni curva, ad ogni piccolo svalicamento, mi immaginavo di vederlo e di raccogliere le ultime forze per andare spedito verso il rifugio ma sembrava non arrivare mai; dietro ogni curva c'era ancora neve, ogni svalicamento rivelava il prossimo e, anche quando finalmente avvistai la struttura, le mie gambe rimasero deboli, continuando a sprofondare nella neve ad ogni singolo passo.
Fu una tirata ma riprendere fiato e aver raggiunto finalmente il rifugio ci riempie di gioia e soddisfazione e assaporiamo quella piccola pausa, indossando qualcosa di asciutto, mentre mettiamo sul fornelletto la pasta che ci avrebbe fatto da pranzo.
Non esiste alimento più buono di quello gustato dopo una grande fatica e quella pasta, così semplice ma così buona, non fu da meno. E ad aggiungere sapore, oltre al sugo radicchio e speck, era il condividere quel pasto con gli amici che avevano affrontato con me la salita godendosi il sole e il paesaggio completamente innevato.
Ancora non lo sapevamo ma la parte peggiore di quell'escursione, arrivata al suo punto più alto, doveva ancora arrivare.
Ripartiti dal rifugio a passo spedito, affrontiamo il percorso di ritorno agili, sicuri e con ritrovata energia. Decidiamo di costeggiare il lago all'altezza della riva al ritorno, in equilibrio sul confine fra i due mondi. Il tentativo è valso la pena: camminavamo ora sul lago ghiacciato, un fantastico cambio di prospettiva, oltre che un tratto in piano dopo tanto dislivello. Il sordo scricchiolio del ghiaccio, che ogni tanto sentivamo sotto i nostri piedi, non ci preoccupava più di tanto: eravamo comunque vicini alla riva e seguivamo le orme di numerose persone passate prima di noi. La discesa prosegue veloce, seguiamo le impronte di chi ci ha preceduto e intanto già immaginiamo di festeggiare questa nostra riuscita impresa con una birretta in compagnia, l’ultima prima che scatti la “zona rossa” e prima delle feste.
L’idea spinge veloci i nostri passi sul sentiero che, a tratti, si confonde con i rigagnoli d’acqua che sciolgono la neve sulle rocce.
Tutto normale, c’erano anche all’andata, e poi camminare sui sassi è molto meglio che affondare nella neve. Seguiamo i sassi, seguiamo le orme, i nostri passi avanzino sulla neve finché…
PLAF
La prospettiva cambia all’improvviso e ci ritroviamo in mezzo alla neve fresca, alta fin sopra la vita, rendendo difficilissimo muoversi. Proseguiamo ancora un po' ma non ci son più orme da seguire e nessuna traccia del sentiero che credevamo di seguire. Da quanto non lo stiamo seguendo? Di quanto ci siamo allontanati? Sicuramente abbastanza da perdere ogni punto di riferimento e trovarci smarriti ad arrancare sopra un metro di neve fresca.
Eppure non siamo troppo distanti dal paese e scendere, a quel punto, ci sembra molto più facile che risalire per tornare sui nostri passi e cercare un sentiero smarrito. Col senno di poi sarebbe stato forse meglio risalire ma lì, sul momento, con le gambe a pezzi e lo sguardo perso, proseguire verso valle, cercando di ricongiungerci al sentiero più in basso, sembrava la scelta migliore. Avanziamo a tentoni, sprofondiamo fino a trovarci bloccati più di una volta e riusciamo ad uscire da quella trappola di neve solo grazie all’aiuto degli altri. A turno rimaniamo incastrati tutti e ci viene da chiederci cosa avremmo fatto se fossimo stati da soli. Forse meglio non pensarci in quel momento e proseguiamo. Pietro, un po’ meno impacciato in quella circostanza rispetto a me e Daniele, punta a valle e fa da apripista, guidandoci in una direzione che mai avrei preso. Sembra rischiosa e avanziamo piano, calibrando ogni passo, mentre perdiamo di vista Pietro, ormai parecchio a valle rispetto a noi.
Avanziamo cauti, ben consci del pericolo e, all'improvviso sentiamo un urlo di Pietro. Ci mette sull’allerta ma fortunatamente è solo per avvisarci che si è finalmente ricollegato al sentiero principale. Certo, quella deviazione imprevista ci ha fatto perdere molto tempo ma riusciamo a raggiungere il parcheggio prima che arrivasse il buio del tardo pomeriggio.
Siamo esausti, sfiniti, le mie gambe sono a pezzi e un ginocchio non se l’è passata benissimo ma, una volta raggiunta la macchina e mollata l’attrezzatura, con la testa ancora confusa da tutte le avventure passate in mezzo alla neve bianchissima, il ricco premio dorato è l’unica cosa alla quale riusciamo a pensare e che riesce a riscaldarci.
"Allora, birretta?"
"Ma sì, birretta!"
In fondo, ce la siamo meritata.
Marco La Fratta
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La vista spettacolare dei laghi gemelli coperti di neve dalla diga (1970 m). |
Info Tecniche | |
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Difficoltà
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Escursionisti (E/EE)
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Partenza
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Carona
(1100 m s.l.m.) |
Arrivo
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Rifugio Laghi Gemelli
(1970 m s.l.m.) |
Tempo di
percorrenza |
7 h (complessiva)
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Dislivello
positivo |
1000 metri |
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