Sono passate parecchie settimane dall'incendio che lo scorso 23 dicembre ha distrutto il campo di Lipa in Bosnia Erzegovina la situazione continua ad essere drammatica. La metà degli sfollati, circa 400 persone, rimane nelle baracche che loro stessi hanno costruito con ciò che si era salvato dalle fiamme divampate nella tendopoli l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre. E anche coloro che, invece, sono riusciti a trasferirsi nell’accampamento allestito nel frattempo dall’esercito bosniaco nella stessa area, non riescono a riscaldarsi adeguatamente, non hanno ancora acqua corrente, elettricità, servizi igienici. A preoccupare gli operatori umanitari è la situazione sanitaria. Nel pieno di una nuova ondata di pandemia di Covid che si sta abbattendo sui paesi di tutta Europa, quasi un migliaio di persone sono costrette a vivere in condizioni igienico-sanitarie pessime, ammassate le une sulle altre ed esposte alle avversità dell’inverno bosniaco.
«Sono aumentati i casi di scabbia, le malattie da raffreddamento e abbiamo potuto verificare addirittura alcuni episodi di assideramento anche se, fortunatamente, lievi».Silvia Maraone,Operatrice umanitaria, lavora da anni nella regione in progetti promossi dall’Istituto Pace Sviluppo e Innovazione (IPSIA) delle Acli, Caritas Italiana e Caritas Ambrosiana.
Da settimane i profughi, tutti richiedenti asilo provenienti per lo più da Pakistan e Afghanistan, vivono in mezzo al fango, sotto la neve che è ricominciata a cadere nei giorni scorsi sull’altopiano. Ricevono un pasto al giorno dalla Croce Rossa locale e per scaldarsi accendono piccoli falò ma non hanno vestiti e scarpe adeguate ad affrontare le rigide temperature di questo periodo.
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Migranti in fila per ricevere un pasto caldo distribuito dagli operatori della Croce rossa all’ingresso del campo profughi di Lipa, Bosnia, 8 gennaio 2021. (Michele Lapini e Valerio Muscella) |
«Ci auguriamo che presto le autorità locali riescano a trovare una soluzione più accettabile per tutti gli sfollati, compresi quelli ai quali non è stata ancora assegnata una tenda. Noi continueremo a stare loro accanto, seguendo l’evoluzione della situazione e i bisogni che via via emergeranno e resteranno scoperti. Stiamo già elaborando un piano per affrontare in particolare la questione sanitaria e alimentare».Sergio Malacrida,operatore di Caritas Ambrosiana dell’area internazionaleresponsabile degli interventi nei Balcani
In tutta la regione sono migliaia i profughi che da anni vivono come sospesi in un limbo, senza reali possibilità di integrazione, con l’unica speranza di vincere The Game, come loro stessi chiamano la sfida con la polizia di frontiera e cercare un futuro migliore in uno dei paesi della Ue.
«Lipa è solo la punta emergente di una catastrofe umanitaria molto più ampia che da anni si sta consumando alle porte dell’Europa. Non c’è più altro tempo da perdere. È venuto il momento che le istituzioni trovino una prospettiva realistica e di lungo periodo per superare questa crisi».Luciano Gualzetti,direttore di Caritas Ambrosiana.
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